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controapologetica
 
Friday, 19 April 2024
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                            L’infanticidio profilattico  

 

 

Definizione e discussione

 

A - Se valgono le seguenti proposizioni (o “premesse”):

 

1) la vita eterna che ci attende dopo la morte vale incomparabilmente di più di quella terrena, sicché qualunque sacrificio riguardante quest’ultima, anche la perdita della vita stessa, è più che giustificato, anzi è niente, se fatto in vista del conseguimento della beatitudine infinita;

 

2) è di fede che l’anima del bambino battezzato che muore prima di raggiungere l’ “età della ragione” (condizione necessaria perché possa peccare con piena avvertenza e deliberato consenso) va direttamente in paradiso;

 

3) l’uomo ha una naturale inclinazione al male (a causa della natura umana decaduta), per cui il neonato, crescendo, avrà buone probabilità, statisticamente parlando, di peccare e procurarsi la dannazione; probabilità poi tanto più alte in questa epoca di scristianizzazione, di laicismo imperante e di ateismo diffuso;

 

4) la rinuncia al massimo bene proprio (o addirittura l’assunzione consapevole del massimo male) a vantaggio altrui è l’atto più magnanimo che l’uomo possa compiere (e, per quanto detto al punto 1, il massimo bene è la beatitudine eterna, il massimo male la dannazione);

 

se valgono tali premesse, allora:

 

il più sublime atto d’amore che una madre possa compiere nei confronti del suo piccolo appena battezzato è togliergli la vita.

 

Proponiamo di chiamare tale gesto “infanticidio profilattico” (o “preventivo”).

 

B - Dovrebbe essere superfluo precisare che chi scrive non consiglia affatto l’infanticidio, e tanto meno si sognerebbe di praticarlo, ma vuole solo mostrare l’impossibilità logica di deprecarlo in nome della dottrina della Chiesa in materia, dottrina intimamente contraddittoria e perciò assurda.

Le considerazioni che si sono fatte  vogliono appunto metterne a nudo l’assurdità: sono, in senso proprio, una reductio ad absurdum.

 

In altri termini: se è corretta la dottrina della Chiesa circa il regolamento che disciplina l’assegnazione dei posti in paradiso e all’inferno, allora l’infanticidio profilattico è atto altamente meritorio.

Per cui, se si sostiene, come noi sosteniamo, che, anziché meritorio, è atto aberrante ed abietto, allora se ne deduce che la suddetta dottrina della Chiesa è intrinsecamente contraddittoria.

Possiamo esprimere il concetto dicendo che, se una deduzione logica rigorosa (e noi ci sforzeremo di dimostrare l’assoluta correttezza della nostra) conduce a una conclusione inaccettabile, deve necessariamente essere falsa almeno una (sottolineiamo: almeno una) delle premesse utilizzate nell’argomentazione.

 

C - Provvediamo innanzitutto a dimostrare la piena conformità delle premesse alla dottrina della Chiesa.

 

1) Che la vita terrena sia nulla (padre Livio pittorescamente parla di “patatine fritte”) rispetto a quella eterna, che attende l’anima dopo la morte, non ha certo bisogno di lunga dimostrazione.

Basterebbe citare le parole esplicite di Gesù:

“Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?” (Mt 16, 26; cfr. Mc 8, 38 e Lc 9, 25);

“Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna” (Mt 10, 28; cfr. Lc 12, 4-5)

 

E si potrebbe ricordare il famoso motto di san Domenico Savio: “La morte, ma non peccati”.

 

2) Che l’anima del bambino battezzato e poi morto prima di giungere all’età della ragione vada direttamente in cielo è fuori discussione per la Chiesa.

Infatti:

a) il battesimo cancella la macchia del peccato originale;

b) il neonato è privo di peccati personali, in quanto incapace di agire con piena avvertenza e deliberato consenso; e comunque il battesimo cancella anche i peccati personali.

 

3) Che il vivere tra gli uomini comporti notevoli probabilità di dannazione è pacifico per la teologia ufficiale, determinata a respingere tutte le prospettive escatologiche, oggi molto in voga, le quali vogliono che l’inferno sia vuoto, o che Satana stesso sia perdonato alla fine dei tempi, o che alle anime venga concessa una possibilità di ravvedimento dopo la morte.

 

In proposito si possono citare in primo luogo i notissimi moniti biblici: “Molti sono chiamati, ma pochi eletti” (Mt 22, 14); “Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!“ (Mt 7, 13-14).

Chiarissime sono poi le parole con cui il Catechismo della Chiesa Cattolica descrive il combattimento spirituale, il „duro combattimento“ necessario per tenere a freno la concupiscenza, che secondo il Concilio di Trento ci è stata lasciata, anche dopo la redenzione, „ad agonem“, ossia appunto perché lottassimo contro la tentazioni ricorrenti della carne, del mondo e del diavolo:

 

La drammatica condizione del mondo‚ che ‚giace’ tutto sotto il potere del maligno’ (1Gv 5,19) fa della vita dell’uomo una lotta“.

 

E a sostegno si cita il Concilio Vaticano II:

 

„Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre, lotta incominciata fin dall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio“ (§ 409; corsivo nostro).

 

Parole che fanno venire i brividi, e inducono ad esclamare, con i discepoli di Cristo: „Chi si potrà dunque salvare?“ Del resto, padre Livio ricorda spesso che sono rarissime eccezioni coloro che riescono a conservare lungo tutta la vita la grazia battesimale.

 

Come se non bastasse, anche una vita condotta in grazia di Dio non garantisce la beatitudine eterna: occorre ancora la „perseveranza finale“, la quale è una grazia e quindi in via di principio dipende interamente dalla discrezionalità divina (v. il cap. „La perseveranza finale“).

 

4) Che la rinuncia alla felicità per assicurarla ad altri sia un gesto d’amore incomparabile non ha certo bisogno di venir dimostrato con argomenti teologici. Un’obiezione di ordine teologico circa la liceità di tale comportamento verrà affrontata più avanti, in F.

.

D - Passando ad esaminare la situazione concreta conseguente all’omicidio profilattico, occorre tenere rigorosamente distinti i due diversi destini, del bimbo e della madre.

 

a) Per il bambino, che ottiene l’accesso immediato al Cielo, l’omicidio patito è, al di là di ogni dubbio, un affare eccezionale (anche padre Livio usa quest’espressione: “il bambino che muore appena battezzato fa un affare”).

Del resto, si potrebbe sempre dire che siamo di fronte a uno dei tanti casi in cui Dio da un male trae un bene.

 

b) Per la madre, ovviamente, la situazione è assai meno rosea. Ha violato il quinto comandamento, con le aggravanti del caso; è colpevole davanti a Dio e davanti agli uomini.

 

A suo carico, è possibile dire che avrebbe dovuto tenere in vita il bambino rimanendogli accanto per avviarlo a una vita di fede e di bene (si ricordi che la madre, la quale si suppone abbia agito sulla base delle premesse 1-4, va per ciò stesso considerata credente, e di una fede ineccepibile).  

Ma è facile rispondere che: 

 

1)  la madre è destinata comunque, in via di principio, a morire qualche decennio prima del figlio;

2) in certi contesti sociali (ad esempio per i miserabili delle bidonvilles del terzo mondo) tenere un figlio sulla via del bene è un compito difficilissimo;

3) comunque, la salvezza eterna di una creatura, nel nostro caso di un figlio, è sempre cosa del tutto aleatoria. Unico caso in cui la Chiesa ci assicura esservi accesso (immediato, per di più) al cielo è invece proprio quello dell’infante battezzato che muore subito dopo il battesimo (o comunque prima di raggiungere l’età della ragione).

 

Del resto, va sempre tenuto presente che, per quanto riguarda la giustizia divina, i conti la madre li farà solo alla sua morte, per cui le rimane aperta la prospettiva di un pentimento e di un’espiazione che la sottragga alla condanna eterna. In altri termini: la sua dannazione non è certa, mentre certa è l’eterna beatitudine del figlio.

 

Si conferma quindi che sotto il profilo utilitario-probabilistico (che, guarda caso, è poi precisamente quello della “scommessa” di Pascal), l’operazione infanticidio risulta senz’altro vantaggiosa.

 

E - Il gesto della madre è, si è detto, il più alto atto d’amore che un essere umano possa compiere. Ciò proprio perché è quello in cui si ha la massima divaricazione tra positività delle conseguenze (beatitudine eterna) per il destinatario, ossia la vittima, e negatività delle conseguenze per chi lo compie (gravissimo rischio di dannazione, a parte i risvolti penali).

 

Se dunque la madre che rischia la morte (terrena) per strappare il suo bambino alle fiamme è giudicata eroica, infinitamente più grande dovrà essere considerato lo spirito di abnegazione di quella che per il bene del figlio rischia la morte dell’anima, infinitamente più grave (se non altro per l’eternità delle conseguenze: “Non temete chi può uccidere il corpo...”) della morte fisica (così come, del resto, la beatitudine assicurata al figlio, strappandolo alle fiamme dell’inferno, è infinitamente più importante della vita conservatagli sottraendolo all’incendio).

 

In sostanza, la donna che guarda negli occhi la propria creatura appena nata e pensa che possa essere destinata a un’eternità di tormenti, può benissimo arrivare a concepire il proposito di seguire l’unica via che le consenta di scongiurare con assoluta sicurezza la terrificante prospettiva: la via del fare di quella creatura un angioletto felice, che nei secoli dei secoli benedirà chi gli ha assicurato quella felicità; ossia proprio lei, la madre infanticida.

Viceversa, tenendolo in vita potrebbe un giorno (un giorno d’eternità) vedersi rimproverare da quello stesso figlio il fatto di averlo prima messo al mondo e poi risparmiato, determinando così la condizione necessaria (seppur non sufficiente) per la sua dannazione.

 

Dovendo scegliere tra il ruolo dell’epulone che dalle fiamme della Geenna contempla la felicità di Lazzaro e quello dello stesso Lazzaro, che dalla gloria dei cieli vede la miseria del dannato, quella madre ha scelto per sé il ruolo (o almeno il rischio del ruolo) dell’epulone.

Vi può essere madre più eroica di questa? “Altro ufficio più grato non si fa da parenti alla lor prole.”

 

Di passaggio, si può aggiungere che una gratificazione di tal genere è probabilmente l’unica di cui possa fruire un dannato: la consapevolezza di aver dato ad un’anima la beatitudine eterna.

E ciò mediante un atto libero, senza la collaborazione di alcuno, nemmeno dell’interessato: atto, quindi, viepiù meritorio (infatti si può essere certi che non è stato compiuto sotto l’influsso della grazia!)

 

Va infine notato che, a prescindere dalla prospettiva di dannazione che per lei si profila, la madre è eroica, su un piano puramente umano, perché si priva del figlio che adora, sa rinunciare ad essere egoista, possessiva, nel supremo interesse del figlio stesso. Rinuncia cioè anche all’umana gratificazione di crescere la creatura che tanto ama.

 

 F - Dal punto di vista teologico, va detto che secondo san Tommaso non è lecito ad alcuno perdere la propria anima, per qualsiasi motivo. Senonché:

 

a) nel nostro caso siamo di fronte a un conflitto fra tesi  teologica e considerazione spontanea suggerita dalla coscienza etica;

b) l’illiceità del comportamento è di fatto irrilevante, in quanto Dio non la può punire mediante la dannazione, già guadagnata con l’infanticidio (salvo pentimenti futuri, s’intende): le dannazioni non sono cumulabili;

c) il peccato della madre, per quanto grave, è pur sempre “rimediabile”, come si è detto, nel corso della vita. La donna non perde la propria anima, anche se si pone in una condizione in cui rischia di perderla.

 

G - Nel caso delle vittime innocenti del Diluvio e degli innumerevoli altri massacri compiuti da Dio o dagli uomini di Dio - nonché di altri eccidi da Lui permessi, come la Strage degli innocenti -, la tesi ufficiale dell’apologetica è che si tratta di angioletti felici; per cui, si dice, non è possibile accusare Dio di ingiustizia e di crudeltà. In pratica, dunque, si tratta di “infanticidio preventivo” attuato da Dio stesso.

Non si vede quindi perché non si debba fare (nella prospettiva dell’interesse delle “vittime”) quel che a Dio viene attribuito come atto di benignità. Non serve a nulla dire che all’uomo non è lecito quel che è lecito a Dio. Questo vale a parte objecti, riguarda cioè la valutazione dell’operato della madre, di cui già abbiamo detto; ma a parte subjecti, ossia dal punto di vista delle suddette vittime non vi è differenza alcuna: per loro, il regolamento che si applica è, nei due casi, il medesimo.

 

Di tanto in tanto qualche teologo o pastore impegnato a distribuire rassicurazioni a madri o vedove angosciate per la morte della persona amata, fa un’affermazione singolare: dice che Dio può decidere di far morire una persona in un certo momento proprio per salvarla, perché si trova in stato di grazia, mentre in un altro momento potrebbe morire in stato di peccato.

Ciò sottende la medesima logica che presiede alla pratica dell’infanticidio profilattico, e indirettamente legittima tale pratica, così come la legittimano i massacri compiuti da Dio dei quali si è or ora detto.

Inutile dire che un’affermazione del genere è comunque gravissima: configura un Dio che, decidendo quando far morire ogni singola creatura in funzione dello stato della sua anima, diviene perciò arbitro assoluto della sua salvezza o dannazione eterna.

Il tema, di capitale importanza, viene approfondito nel capitolo dedicato alla Perseveranza finale”.

 

 

     Corollari

 

Dall’affermazione fondamentale della positività dell’infanticidio profilattico scaturiscono alcuni corollari relativi a situazioni analoghe a quella descritta.

 

a) Se un malato grave, in punto di morte, debitamente confessatosi e comunicatosi, dopo aver  magari ricevuto l’unzione degli infermi, viene miracolato dalla Madonna o da qualche santo, e guarisce, non viene perciò stesso “defraudato” di un paradiso sicuro, ed esposto nuovamente al pericolo di dannarsi, continuando a vivere?

Che senso ha, in una prospettiva cristiana, invocare per lui il miracolo della guarigione?

 

b) Le stesse argomentazioni che giustificano l’infanticidio profilattico dovrebbero rendere “filantropica” la soppressione di chi, essendosi appena confessato e comunicato, è presumibilmente in grazia di Dio. Alla peggio andrà in purgatorio.

In particolare, dovrebbe essere filantropica l’eliminazione dell’adulto appena battezzato, visto che, come si è ricordato all’inizio, il battesimo cancella anche tutti i peccati personali di cui l’anima sia eventualmente macchiata. Potremmo in tal caso parlare di omicidio profilattico.

Naturalmente in questo caso, a differenza di quanto accade in quello dell’infanticidio, non vi è la certezza assoluta che l’interessato non abbia nel frattempo in qualche modo peccato, ad esempio anche solo concependo un pensiero peccaminoso.

 

c) Accanto all’omicidio, si potrebbe collocare l’invalidazione profilattica: se passando la vita ad esempio su una sedia a rotelle si hanno oggettivamente meno occasioni di peccare (concetto espresso dalla Madonna a Fatima), è indifferente chi procuri l’andicap, se Dio o un uomo.

Se si ribatte che solo Dio è in grado di stabilire quando l’invalidazione è opportuna, si arriva a una conclusione imbarazzante: l’interessato deve ritenere, dato il trattamento riservatogli da Dio in vista della sua salvazione, di essere stato giudicato dalla Provvidenza divina un inguaribile peccatore, salvabile solo con i mezzi estremi, ossia mediante l’esclusione preventiva, in forza dell’andicap, da certe dimensioni della vita.

Allora la malattia e l’invalidità divengono stigma di una condizione di peccato, contrariamente a quanto afferma Gesù a proposito del cieco nato: “Né lui ha peccato né i suoi genitori” (Gv 9, 3).

 

 

La quinta premessa

 

Altri corollari importanti della tesi dell’infanticidio profilattico si hanno aggiungendo una o più premesse alle quattro elencate all’inizio.

 

Si comprende immediatamente infatti che, qualora la Chiesa stabilisse che anche le anime dei bambini morti senza battesimo vanno in cielo (ora si limita a sperarlo, non potendolo garantire), il discorso dell’infanticidio profilattico andrebbe automaticamente allargato a tali bambini.

 

Ma la premessa più interessante che si può aggiungere a quelle iniziali – premessa, al pari di quelle, rigorosamente ortodossa - è l’affermazione, oggi considerata dalla Chiesa verità apodittica, che l’anima, creata da Dio, viene infusa in ogni uomo al momento stesso del formarsi dell’embrione.

Una volta accettata tale ipotesi, ci troviamo a dover prendere in considerazione un gran numero di altri potenziali “beneficiari” dell’infanticidio profilattico: oltre ai bambini deceduti senza battesimo, cioè, anche i feti abortiti e gli embrioni morti per una qualunque causa (ossia tutti i “peccatori prerazionali”: su questo v. il cap. “Sorte degli innocenti morti senza battesimo”).

 

A questo punto, dobbiamo ancora distinguere due eventualità tra cui la Chiesa non ha ancora operato una scelta ufficiale: o tutte queste anime vanno “d’ufficio” in paradiso o vengono irrevocabilmente spedite all’inferno. Consideriamo le due possibilità separatamente.

 

a) Prima possibilità: nel caso che, alla morte, tutte le anime dei “peccatori prerazionali” vadano in paradiso, il tanto strombazzato “diritto alla vita” per feti ed embrioni equivale, in una prospettiva teologicamente ineccepibile, a un vero e proprio “diritto al peccato”, e quindi a un “diritto alla dannazione”: il diritto di giocarsi fino in fondo, vivendo, tutte le chances di finire nel fuoco eterno.

 

Sempre nella medesima ipotesi, intervenire per scongiurare un’interruzione di gravidanza o impedire la distruzione di embrioni equivale ad afferrare brutalmente un’anima che sta per spiccare il volo verso la beatitudine eterna dicendole: “No, troppo comodo! Tu devi vivere. Il paradiso devi guadagnartelo, come tutti!”

Lo stesso si può dire  della lotta per strappare alla morte feti e neonati in condizioni estremamente precarie, come è accaduto qualche anno fa per gli otto gemellini nati a Milano: oggettivamente, si è trattato di una lotta per strapparli al paradiso.

 

Nella stessa ottica, andrebbe valutato in modo ben diverso da come normalmente si fa anche l’atteggiamento della madre che decide di rinunciare a curarsi, ad esempio contro il cancro, per non compromettere la nascita della creatura che porta in grembo.

Con la sua decisione la donna si assicura un’altissima probabilità di beatitudine, mentre lascia il figlio sulla terra a condurre quel durissimo combattimento spirituale di cui, come abbiamo visto, parla la Chiesa, e dunque con la “normale” alea di finire dannato. Al contrario, curandosi e continuando a vivere, a prezzo della vita del figlio, la madre assumerebbe per sé tale alea, mentre regalerebbe alla sua creatura la certezza del paradiso.

Il gesto che appare sublime - e tale è indubbiamente, in una prospettiva umana - è dunque in realtà egoistico se considerato in prospettiva teologica.

 

b) Seconda possibilità: se le anime di tutti i „peccatori prerazionali“ (o quanto meno, ai fini del nostro discorso, quelle degli embrioni non giunti a buon fine) non hanno altra destinazione che l’inferno - eventualità che, ripetiamo, la Chiesa non si sente di escludere formalmente -, è possibile che si abbia una produzione involontaria di anime dannate.

 

Quando infatti un uomo e una donna si accoppiano, senza far uso di anticoncezionali, e magari proprio allo scopo di procreare, vi sono statisticamente molte probabilità che non si inizi una gravidanza. E una buona percentuale di tali probabilità riguarda il caso di un’avvenuta fecondazione non seguita però da un appropriato annidamento dell’embrione nell’utero.

 

In tale evenienza, essendosi comunque prodotto un embrione, secondo la dottrina ufficiale della Chiesa vi è stata, da parte di Dio, la creazione di un’anima (debitamente munita, s’intende, della macchia del peccato originale). Ora, se la medesima Chiesa non si sente di escludere che tale anima, in virtù della suddetta macchia, finisca all’inferno, è pienamente legittimo concludere che i due aspiranti genitori possono obiettivamente aver contribuito ad arricchire di un’unità (o, in qualche caso, di più di una) il regno di Satana.

 

Sicché, quando due sposi credenti si propongono di dar vita a una creatura, dovrebbero considerare la raggelante prospettiva che il risultato del loro atto potrebbe oggettivamente essere nient’altro che la produzione di un’anima immediatamente dannata. Ossia, un grazioso regalo al Maligno.                    

 

 

Satana e l’angelo custode consigliano la madre

 

Un corollario particolarmente significativo, degno di essere considerato a parte, riguarda l’atteggiamento di Satana di fronte alla prospettiva dell’infanticidio profilattico.

 

Consideriamo addirittura l’ipotesi più „larga“, supponiamo cioè che vadano in paradiso - secondo quella che sappiamo essere una possibilità non esclusa (anzi, auspicata) dalla Chiesa - tutti quelli che abbiamo definito “peccatori prerazionali”, ossia, oltre ai bambini morti dopo aver ricevuto il battesimo, anche quelli deceduti senza battesimo, nonché i feti abortiti e gli embrioni estintisi per una qualunque causa. E proviamo a chiederci quale sia l’atteggiamento del Demonio nei confronti della madre meditante, a seconda dei casi, l’infanticidio, o l’aborto, o l’uso di un anticoncezionale ad azione abortiva.

Che cosa consiglierà Satana alla donna incerta sulla decisione da prendere? La risposta è facile: non potrà che consigliarle di non uccidere la sua creatura.

 

Se infatti l’infanticidio o l’aborto vengono commessi, quell’anima va immediatamente in paradiso, e per il Maligno sarà definitivamente perduta, mentre se la creatura vien lasciata vivere egli può sempre sperare di attirarla a sé. È quindi escluso, poiché assolutamente inverosimile, che Satana possa “tentare” una madre perché uccida il figlioletto o perché decida di abortire o di usare anticoncezionali che distruggono l’embrione.

Semmai, tale consiglio alla madre dovrebbe darlo, a rigor di logica, l’angelo custode del bambino (o dell’embrione).

 

S’intende che in tutti questi casi il “guadagno” rappresentato per Satana dal peccato a cui viene indotta la madre è ben poca cosa, sia perché la madre è una mentre i potenziali figli che essa sopprime possono anche essere molti, sia perché, come già si è detto, nonostante tali peccati l’anima della donna potrà sempre, in virtù del pentimento, sfuggire alla dannazione.

Sotto il profilo del bilancio profitti-perdite non è quindi possibile avere dubbi circa la soluzione più gradita al Maligno.

 

Concludendo: se tutte queste anime vanno direttamente in paradiso, allora aborti, infanticidi ed uso di contraccettivi ad azione abortiva non possono in alcun caso essere tentazioni sataniche, contrariamente a quanto sostiene a spada tratta la Chiesa (v. ad esempio G. Barra, “Il Timone” n. 11, p. 35, § 37; e n. 13, p. 3).

 

N. B. Anche l’uso di preservativi o pillole, o comunque qualsiasi tecnica anticoncezionale volta ad impedire la formazione dell’embrione (ivi compresi i metodi “leciti”, basati sull’individuazione dei giorni fecondi), non può non essere malvista da Satana - e quindi mai da lui incoraggiata - in quanto innegabilmente riduce il numero dei potenziali dannati.

Di fatto, ogni comportamento del genere consente di evitare di aggiungere anime all’inferno, per cui dovrebbe oggettivamente essere considerato “buono”.

In una prospettiva altruistica, però, l’infanticidio profilattico e la soppressione di feti ed embrioni sono ancora migliori, in quanto aggiungono anime al paradiso.

 

 

Conclusione

 

È forse opportuno ribadire, al termine del capitolo, che lo scenario in esso prospettato ha lo scopo di mettere in evidenza a quali (e quante!) conclusioni aberranti portano, a fil di logica, i presupposti teologici della dottrina ufficiale della Chiesa in materia di escatologia. È evidente che qualcuno - e in ogni caso almeno uno - di tali presupposti deve essere errato.

Non tocca però a noi dire quali sono le premesse erronee, e tanto meno suggerire in che modo sarebbe da riformare l'intera dottrina. 

 

 

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