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Controapologetica Che cos’è la controapologetica Da quasi duemila anni una sterminata équipe di maestri del cavillo - tra cui alcuni degli ingegni più brillanti di cui possa gloriarsi l’umanità - lavora instancabilmente per reperire argomenti atti a sostenere le interpretazioni ortodosse dei sacri testi cristiani, a scoprire in essi sempre nuovi significati edificanti e a costruire lo smisurato castello delle verità teologiche: il “deposito della fede”. Tale attività, nella misura in cui mira a difendere le posizioni ufficiali della Chiesa contro i negatori, prende il nome di “apologetica”. Dalla parte opposta, quella appunto dei negatori e degli scettici, lo sforzo profuso per contestare le tesi degli “apologeti” non è neppure lontanamente paragonabile, né per intensità né per sistematicità né per livello di preparazione degli operatori. Chi non crede, in genere si disinteressa della problematica religiosa, o la considera da un punto di vista generale (quello della cosiddetta teologia fondamentale: questioni dell’esistenza di Dio, dell’immortalità dell’anima, della vita eterna), scendendo raramente a misurarsi con i problemi concreti dell’esegesi e della teologia. Negli ultimi due o tre secoli non sono certo mancate correnti di studi religiosi che in vari campi hanno innovato profondamente e criticamente (da Wellhausen alla Formgeschichte, dalle ricostruzioni storiche di Renan e Loisy alla “demitizzazione” di Bultmann); ma si è trattato in genere di proposte in qualche modo costruttive, impegnate ad aprire nuove interpretazioni dei testi e del messaggio cristiano. Non sono certo rare neppure le opere di taglio antiapologetico su determinati temi, quali ad esempio la Creazione (per demolire certe tesi fondamentaliste) o la questione dei “fratelli di Gesù” (soprattutto lavori di protestanti in chiave antimariana). Ma mi pare che non si sia affermata una direzione di ricerca che esamini sistematicamente, a puro scopo di confutazione, l’opera degli apologeti nei suoi presupposti metodologici e nelle applicazioni concrete. Tale è appunto il lavoro che qui si cerca di fare, e che può a buon diritto definirsi “controapologetica”. Potrà sembrare strano, ma il termine stesso di “controapologetica” risulta inesistente. Contro i 605.000 siti (di cui Ora, tutto questo deve pur significare qualcosa. Significa che non è mai stato praticato in forma sistematica, e neppure individuato nella sua specificità, quell’esercizio che noi intendiamo condurre in questo sito, ossia la confutazione puntuale delle argomentazioni dell’apologetica. In effetti, le cose in pratica vanno nel modo seguente. Il comune lettore della Bibbia, ossia il suo vero destinatario (che noi chiameremo CUB: “Comune utente biblico”), trova nei Vangeli, e in genere nella Scrittura, parecchie cose strane; espone perciò le sue perplessità, poniamo, al suo catechista, o al parroco, o a un conduttore di Radio Maria. Questi gli propina le risposte confezionate ad hoc dall’apologetica (risposte che si possono trovare anche in repertori specializzati, spesso composti appunto di domande e risposte: l’editoria anglosassone ne sforna a dozzine, e ora anche il Web è ben fornito); e difficilmente l’interrogante si trova in grado di ribattere, di controargomentare. In particolare, quando la conversazione si svolge via etere, il conduttore interpellato può negare ogni possibilità di replica all’interpellante chiudendogli semplicemente il microfono. Una replica efficace è comunque fatto assai raro. In primo luogo perché le domande vengono di regola filtrate, il che porta ad escludere preventivamente gli interlocutori più pericolosi; poi perché si fronteggiano una vecchia volpe e un “dilettante”, in genere digiuno di scienza esegetica e teologica, per di più emozionato per il fatto di parlare in pubblico e preso in qualche modo in contropiede dalla risposta: dovrebbe aver tempo per riflettere e partire eventualmente al contrattacco, aggiustando il tiro e proponendo nuove obiezioni. Va poi detto che l’apologeta in caso di pericolo può sempre far ricorso all’arma assoluta: il “mistero”. L’apologetica funziona quindi di regola come un fin de non-recevoir, ha sempre l’ultima parola. Non le fa quasi mai riscontro una controapologetica. Noi abbiamo cercato di dar voce a questi interroganti, mostrando che troppe risposte dell’apologetica urtano contro le più elementari leggi della lingua e del buon senso. Quel che si è detto delle domande a Radio Maria vale, a maggior ragione, per le note esegetiche delle bibbie commentate: qui manca sempre il feed-back, e il CUB, che sia convinto o meno, deve accontentarsi di quel che passa il convento. La catechesi e la pastorale si mostrano spesso piene di comprensione per questo “lettore sprovveduto” (così amano definirlo), il quale, poveretto, non dispone degli strumenti dottrinali per affrontare i temi sublimi e ineffabili che ci propone la parola di Dio. E generosamente si offrono di prenderlo per mano e spiegargli, poniamo, che è solo la sua ignoranza delle lingue semitiche a impedirgli di vedere che quei “fratelli” di Gesù di cui si parla continuamente nei vangeli non sono fratelli ma cugini. Agli apologeti, che in genere sono anche pastori, fa tenerezza questo lettore ingenuo. Ecco, noi vorremmo invece dire che a volte egli è proprio come il bambino che nella fiaba di Andersen, a dispetto della sua “immaturità”, ha il coraggio di “vedere”, lui solo, che il re è nudo. Vorremmo dire che “ingenuo” in questo caso è da intendere semmai nel senso latino, originario, di ‘bennato, nobile, sincero’: non prevenuto, dunque, sgombro di pregiudizi di fronte al testo, non costretto nella camicia di forza dell’analogia fidei. E cerchiamo di mostrare che questo CUB amorevolmente tenuto sotto tutela, pur non essendo e non volendo essere né esegeta né teologo, può all’occorrenza rimboccarsi le maniche e impugnare gli attrezzi adeguati della logica e della linguistica per mettere a nudo l’inconsistenza di tante pretese “spiegazioni” offerte dall’apologetica. Sottolineiamo che ciò non significa voler essere esegeti o teologi: assumere questo ruolo, a parte ogni problema di legittimazione, significherebbe impegnarsi a fornire soluzioni alternative in un giallo di cui non si intravede soluzione, esponendosi così alla facile ritorsione delle accuse di incoerenza. Questo ruolo non si addice al CUB che noi intendiamo incarnare, un CUB che non vuol rubare il mestiere a Rahner o a Küng: di fronte alla parola di Dio, scritta per suscitare la sua fede, egli semplicemente si accorge di non capire, di scorgere incongruenze ad ogni passo; allora chiede lumi, e quando riceve risposte manifestamente inadeguate, le rinvia al mittente. Questa è controapologetica. Anche in tribunale ciascuna delle parti può limitarsi a dimostrare l’inconsistenza delle tesi della parte avversa, senza essere per ciò costretta a fornire una ricostruzione compiuta e inattaccabile degli eventi. Per chiarire meglio il concetto: dal 1999 esce in Italia una rivista – “Il timone” - di eccellente fattura, che si autodefinisce “di informazione e formazione apologetica”; bene, la contropologetica non è che controinformazione rispetto all’informazione fornita dall’apologetica, controinformazione che si rende necessaria quando l’informazione appare per vari motivi errata, fuorviante, mistificatoria. Agnosticismo Ci pare superfluo precisare che non siamo credenti. Facciamo esplicita professione di agnosticismo. Non siamo però mossi da spirito anticlericale, in quanto riconosciamo senza difficoltà il ruolo primario - e per molti aspetti positivo - che la fede cristiana e la Chiesa hanno svolto nella formazione della cultura europea. Le uniche consonanze che si possono rinvenire tra la nostra modesta indagine e l’opera monumentale di Heinz Deschner riguardano i “crimini” consumati contro la verità. Amicus Plato, sed magis amica veritas, insomma. Principio quanto mai attuale ai nostri giorni, che vedono un papa partire all’assalto del cosiddetto “relativismo” e rivendicare alla Chiesa nientemeno che il monopolio della “Verità”. Oggetto dell’indagine: esegesi e teologia L’attenzione viene concentrata quasi esclusivamente sull’esegesi, ossia sulla spiegazione della Scrittura, e sulla teologia. Sul primo versante, si confutano le distorsioni che l’apologetica opera da due millenni nell’interpretazione dei testi, dal cosiddetto “protovangelo” di Gn 3, 15 ai “vangeli dell’infanzia”; sul secondo, si denunciano le innumerevoli gravi o gravissime aporie (ossia contraddizioni, difficoltà logiche) che minano la compattezza del “deposito della fede”, specie nel campo dell’escatologia, riguardante il destino eterno delle anime. Non ci occupiamo se non occasionalmente di storia della Chiesa, di pastorale, di spiritualità, di liturgia, di diritto canonico, e in generale di ecclesiologia. Il problema della legittimazione È legittimo fare controapologetica senza alcun prestigioso titolo rilasciato dal Pontificio Istituto Biblico, o dalla Pontificia Università Gregoriana, o da altra equipollente accademia di alti studi religiosi? Sì, rispondiamo senza esitazione. È legittimo per lo stesso motivo per cui la maggioranza degli apologeti è costituita da studiosi laici provvisti unicamente di laurea in lettere, in filosofia, in giurisprudenza o in una disciplina scientifica; molti sono giornalisti in piena attività, che abbinano la professione a un deciso impegno apologetico. Per convincersene, basta scorrere l’elenco dei collaboratori della succitata rivista “Il timone”, a cominciare dal direttore Gianpaolo Barra. Anna Maria Cenci, beniamina di una buona fetta del devoto pubblico di Radio Maria e da poco scomparsa in tarda età, era giunta all’apologetica militante (e fondamentalista) dalla professione di medico. È poi impossibile non ricordare che il più illustre degli apologeti italiani, Vittorio Messori, autore di libri venduti a milioni di copie nel mondo, è un giornalista laureatosi in scienze politiche a Torino alla scuola laica dei Bobbio e dei Galante Garrone. Il fatto è che, per parafrasare un luogo comune, la Bibbia non è stata scritta per i biblisti. Chiunque abbia occhi per vedere e ragione per intendere ha pertanto pieno diritto, in quanto destinatario della Buona novella, di cercar di capirla e di valutare criticamente le spiegazioni che gli vengono offerte dalla Chiesa, autoproclamatasi unica interprete autorizzata. Se ne resterà convinto, potrà decidere di schierarsi con la legione degli apologeti. Altrimenti, potrà sentirsi vicino agli argomenti di controapologetica che noi gli proponiamo. Possiamo concludere in chiave evangelica ricordando che sono i frutti a testimoniare la qualità dell’albero. Noi confidiamo che i frutti della nostra pianta risultino tutt’altro che scipiti. E naturalmente ci auguriamo che i visitatori invogliati ad assaggiarli siano numerosi. P. S. Perché “controapologetica” anziché “antiapologetica”? “Antiapologetica” esprime una generica avversione all’apologetica, un’azione di contrasto continuata. “Controapologetica” ci pare più adatto ad esprimere la reazione puntuale volta a rintuzzare le singole argomentazioni degli apologeti. Come ad ogni mossa si risponde con una contromossa (non con un ‘antimossa’) e ad ogni attacco con un controattacco (non con un ‘antiattacco’), così ad ogni argomentazione dell’apologetica si risponde, qualora la si ritenga scorretta, con una controargomentazione. Volendo illustrare il concetto in termini linguistici, diremo che il prefisso anti- ci sembra avere valenza prevalentemente preposizionale, mentre contro- si presta meglio ad esprimere una valenza avverbiale: la controapologetica non vuole tanto essere contro l’apologetica, quanto operare come una sorta di apologetica contro, ossia un’apologetica al contrario, in controsenso, che utilizza gli stessi strumenti dell’apologetica per andare in direzione opposta. |
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