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Postilla sulla giustificazione per mezzo della fede
Per puro scrupolo, diremo che nell’AT abbiamo il versetto di Abacuc (2, 4), espressamente richiamato da Paolo: “Ecco, soccombe colui che non ha l'animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede”. Senonché, a parte il fatto che si tratta di uno spunto assolutamente isolato (lo stesso Paolo infatti non è stato in grado di reperire nient’altro a sostegno della sua tesi), è chiaro che il giusto, che vediamo contrapposto a chi “non ha l’animo retto”, non può essere se non colui che l’animo retto ce l’ha; si salverà dunque in primo luogo per la sua rettitudine, per la sua “giustizia”. Lo confermano il versetto successivo (“La ricchezza rende perfidi, il superbo non sussisterà”) e il resto del capitolo, che insistono sulla tematica morale ignorando quella della fede. Un’ulteriore conferma ce la offre la “Bibbia in lingua corrente”, che preferisce tradurre con “fedeltà”. Qualcosa di diverso, insomma, da quel che noi - al pari di san Paolo - intendiamo con “fede”: una “disponibilità a credere” che in via di principio prescinde da supporti di natura razionale o sperimentale. Un’alternativa alla ratio, insomma, pur se non programmaticamente sua nemica.
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