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Postilla sul martirio
A parte il fatto che la vicenda dei sette fratelli Maccabei e della loro madre appare isolata nel contesto biblico, (mentre la tradizione cristiana può sin dall’inizio vantare interminabili schiere di martiri), va detto in primo luogo che il libro in cui essa ci viene raccontata - il libro dei Maccabei, appunto - appartiene ai cosiddetti “deuterocanonici”, testi tardi, come già si è accennato, ed esclusi dal canone scritturale dagli ebrei stessi (sulla questione della legittimità del loro impiego parliamo nel capitolo seguente). Gesù non vi ha mai fatto allusione, pur avendo più d’una volta parlato delle persecuzioni che i suoi seguaci eran destinati a subire a causa della loro fede.
In secondo luogo, la motivazione che spinge quei màrtiri al sacrificio ha una forte componente patriottica, nazionalistica (la determinazione a “non trasgredire le leggi dei padri”), pur se unita alla viva fede in una futura eterna ricompensa da parte di Dio; e, per di più, il rifiuto di obbedienza che essi oppongono al re straniero riguarda un classico tabù alimentare, ossia proprio uno dei precetti del giudaismo sarcasticamente dichiarati privi di valore da Gesù medesimo.
Infine, se è innegabile che i Maccabei sono “testimoni” della fede (e ‘martire’ vuol dire appunto ‘testimone’), manca però al loro sacrificio l’elemento caratteristico del martirio cristianamente inteso, ossia il valore di testimonianza in vista della diffusione, della propagazione della fede: concetto, come si è visto, mirabilmente espresso dalla famosa formula “sanguis martyrum semen christianorum”.
E non poteva essere diversamente, dato quel che si è detto circa l’assenza di una prospettiva universalistica nella Weltanschauung giudaica.
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