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La
verità di fondo: estraneità
e opposizione dei
due Testamenti
La Scrittura cristiana
comprende due parti:
il Vecchio (o Antico)
Testamento e il
Nuovo Testamento
(in sigla: VT, AT, NT).
Venti secoli
di esegesi, di teologia,
di catechesi, di apologetica
hanno inculcato
quasi ossessivamente l’idea
che l’Antico
Testamento è una
preparazione
al Nuovo (preparazione
sapientemente disposta
da Dio nella
prospettiva
della cosiddetta “Storia
della salvezza”) e che
il Nuovo Testamento
è un compimento (nonché, per certi
versi, un
superamento)
dell’Antico.
Noi, al contrario,
ci proponiamo di dimostrare
in primo luogo
che VT e NT sono l’espressione
di due fedi religiose
radicalmente diverse e sostanzialmente
estranee l’una
all’altra; e
in secondo luogo
che tra di esse esiste un
rapporto di oggettiva
opposizione e conflittualità,
dovuto alle circostanze
in cui il
cristianesimo
è nato.
Nonostante gli
illustri precedenti
di Marcione e di vari
studiosi degli
ultimi tre secoli
(su cui si veda il capitolo
“Da Marcione alla critica
biblica moderna”),
sappiamo che
un’asserzione
tanto perentoria
può apparire
infondata
e stravagante, per non dire
semplicemente risibile:
una provocazione
da liquidare senza ulteriore
esame.
È vero
infatti che
sono molti
a ritenere
l’AT assai difforme dal
Nuovo, tanto
da giudicare infelice
la scelta della Chiesa
di recepirlo nella
sua integrità,
senza operare alcuna
potatura; e soprattutto
le manifestazioni dell’ira
e della violenza di Yahweh
appaiono incompatibili
con le caratteristiche
del “Dio di Gesù”;
ma
questo non induce
in genere a considerare
le due sezioni della Scrittura
due mondi diversi
che
poco o nulla hanno
in comune.
A nostro giudizio
invece le cose
stanno proprio
in questi termini;
e per suffragare la nostra
tesi partiamo da una
considerazione che
potrà sembrare
strana ma è
incontrovertibile.
Benché si affermi comunemente
che sono decine, o addirittura
centinaia, le allusioni
veterotestamentarie alla futura
incarnazione del Verbo,
in realtà
l’AT non contiene
alcun preannunzio
di Gesù: tutte
le supposte “profezie”
che riguarderebbero
il Nazareno
sono
in realtà profezie messianiche,
si riferiscono cioè
alla venuta di un
uomo mandato
da Dio e da lui
a questo scopo
consacrato, cioè
“unto” (tale
è il
significato dell’ebraico
mashiah,
da cui il
nostro
‘messia’, e del suo
equivalente greco
christós).
Ma la
verità fondante
il cristianesimo
è che Gesù
non è semplicemente il
Messia, ma
è figlio
di Dio e Dio
egli stesso.
Non serve, come
ripetono
giustamente sia
Benedetto
XVI che padre
Livio Fanzaga, proclamare
che egli era
un grand’uomo,
che ha detto
cose
sublimi, o magari
anche che era
stato inviato
da Dio, in quanto
appunto Messia:
chi non è convinto
che Gesù
è Dio non è cristiano.
Di qui un
corollario evidentissimo:
contrariamente a quanto
si ripete con
ossessiva determinazione,
Gesù non è minimamente
presente nell’AT.
Non vi è infatti,
in tutta la Bibbia
ebraica, una
sola
sillaba che faccia onestamente e legittimamente
pensare che
Dio abbia
un figlio (ovvero che sia
Padre e Figlio
insieme) e che
questo figlio
sia
destinato a incarnarsi.
Giova ripetere: tutte
le innumerevoli profezie
che l’apologetica
puntigliosamente elenca
come preannnunzi
più o meno espliciti
del Verbo incarnato
in realtà
non sono che
profezie
messianiche nel
senso proprio
della parola, vale
a dire allusioni
al Messia, cioè a un
uomo, un
semplice uomo, mandato
da Dio e “unto”
in vista di una
missione;
missione, si badi
bene, non di redenzione
dell’umanità, bensì
di riscatto del popolo
ebraico (così
mostrano di pensare
ancora i due discepoli di Emmaus, dopo oltre un biennio
di ministero pubblico,
e addirittura tutti gli
apostoli al termine
dei “quaranta
giorni”
giorni di cui
si parla all’inizio
degli “Atti”).
Sulla scia di questa
conclusione, non sarà
difficile osservare
che nell’Antico Testamento mancano
completamente, oltre
ai due
misteri fondamentali
- la Trinità e l’Incarnazione
-, quasi
tutti gli altri
elementi propri
e qualificanti del cristianesimo.
Nel capitolo seguente
ne facciamo un elenco
ragionato, che
costituirà la struttura
portante della nostra
argomentazione.
Prescindendo infatti
da ogni considerazione
di ordine latamente
filologico, quali
furono quelle
che indussero
già vari studiosi
degli ultimi
tre secoli a
denunciare,
come si è accennato,
l’eterogeneità dell’Antico
Testamento rispetto
al Nuovo, noi
usiamo
un criterio
assolutamente obiettivo:
facciamo una
sorta
di inventario
delle più importanti caratteristiche
della religione cristiana
e
ne mostriamo la completa assenza nel
primo Testamento.
Compiliamo cioè
una scheda,
una carta d’identità
del cristianesimo, che
risulta clamorosamente
diversa da quella
che scaturisce
dai testi veterotestamentari.
Ovvero, per usare
una metafora
più attuale, diremo
che cerchiamo
di abbozzare una
mappa genetica del depositum fidei della Chiesa,
mostrando che
il genoma di
tale
patrimonio dogmatico
non rivela una
significativa
parentela biologica
col giudaismo
precristiano
testimoniato dalla
Bibbia ebraica.
Una sorta
di test del DNA, insomma,
i cui risultati
ci sembrano confermare
la nostra tesi
al di là di ogni
ragionevole dubbio.
Naturalmente il
Nuovo Testamento
che noi poniamo
a confronto con
l’Antico è quello
conforme all’interpretazione
che ne ha
dato la Chiesa. Non possiamo
in questa sede
discutere,
caso per caso,
se e quanto tale
interpretazione
rispecchi effettivamente
il contenuto
dei
testi neotestamentari,
nei quali peraltro
si incontrano contraddizioni
a non finire.
A prescindere dalla
problematica del “Gesù
storico”, a noi
preme semplicemente
dimostrare la
pressoché totale estraneità
del
VT alla dottrina, allo
spirito e alla pratica
religiosa del credo
cristiano quale
si è definito nel
corso
dei secoli.
Ancora una precisazione.
Parlando di “completa
assenza”,
nell’AT, dei
tratti più qualificanti
del cristianesimo, intendiamo
dire che tali
elementi non
vi
figurano neppure
come allusioni,
prefigurazioni, preannunzi;
oppure che
(in rari casi)
si trovano
presenti in
uno
stadio puramente
embrionale rispetto
al ruolo assunto
nel
NT e nei successivi
sviluppi, sì
da poter venire
considerati
non più che labili tracce.
Nell’esame dei
singoli punti
le due situazioni verranno
opportunamente distinte.
Cinque di questi
punti (Trinità,
universalità della religione,
missionarietà, giustificazione
per mezzo della fede
e martirio) sono
stati corredati
di un approfondimento
che, per non appesantire
il commento all’elenco,
abbiamo consegnato
ad altrettante “postille”.
Tali postille
sono destinate
agli scettici,
i quali potrebbero
richiedere argomentazioni
più numerose e disamine
più analitiche per accettare
le nostre tesi.
Chi non avesse di questi
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