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Il ‘regolamento di conti’ del Calvario Come si è accennato nel capitolo introduttivo, Yahweh e il Dio trinitario proclamato da Gesù (pur con tutte le riserve circa la misura in cui tale proclamazione fu effettivamente compiuta da Gesù stesso) non sono solo due divinità diverse, ma sono anche, per ragioni oggettive, inevitabilmente contrapposti, nemici l’uno dell’altro, e quindi reciprocamente escludentisi. In effetti, sul Calvario il Dio dell’AT manda a morte il Dio del NT nella persona del Figlio, e precisamente nella carne da questi assunta. Yahweh ordina ai suoi sacerdoti di mettere a morte il sedicente Figlio del Dio trinitario. La bestemmia giustamente punita È difficile contestare tali affermazioni. Dicendo di essere Figlio di Dio e Dio egli stesso, Gesù enuncia contemporaneamente i due dogmi fondamentali del cristianesimo: per questa bestemmia, di cui sarebbe impossibile concepirne una maggiore (qua nulla maior cogitari potest, potremmo dire) viene legittimamente mandato a morire sulla croce. Su questo l’apologetica stessa non ha dubbi. Padre Livio Fanzaga, commentando il Catechismo della Chiesa Cattolica, scrive in “Credo” che “Gesù non è apparso agli occhi delle autorità di Israele solo come un trasgressore della Legge [...], ma anche e soprattutto come un bestemmiatore” (p. 110). E in un altro testo insospettabile, “Il tascabile dell’apologetica cristiana” di P. Kreeft e R. Tacelli, leggiamo: “In modo chiaro e sconcertante Egli ha sollecitato la crocifissione (o la lapidazione) dicendo: "In verità vi dico, prima che Abramo fosse, Io sono" (Gv 8, 58). Ha pronunciato il nome sacro che Dio ha rivelato a Mosè, il nome che Dio ha usato per rivelarsi (Es 3, 14). Se non fosse stato Dio, nessuno nella storia avrebbe detto qualcosa di più blasfemo; per la legge ebraica, nessuno ha meritato la crocifissione più di quanto l’abbia meritata Gesù” (p. 76). Il VT aveva ossessivamente insistito sul monoteismo assoluto, creando quindi obiettivamente il clima meno adatto per l’accoglimento della novità sconvolgente portata da Gesù. Si era in effetti trattato di una vera e propria “preparazione al contrario”. In una prospettiva teologica cristiana, secondo la quale l’Antico Testamento sarebbe appunto una sapiente preparazione del Nuovo, potremmo parlare di fallimento del profetismo; ma il fallimento appare così clamoroso e totale che è senz’altro più adeguato parlare di due prospettive radicalmente diverse, e quindi, in sostanza, di due religioni diverse. Sta di fatto che chi nel corso di secoli era stato “pazientemente preparato” - in virtù di un’asserita mirabile “pedagogia divina” - ad accogliere Cristo, l'ha respinto; e l’ha respinto non malgrado, ma proprio a causa di tale preparazione, che l’ha giustamente indotto a vedere nella pretesa di Gesù di essere il figlio di Dio una orribile bestemmia. L’ha quindi giustamente condannato: potremmo parlare di un vero e proprio “atto dovuto”. Non è possibile dubitare che Yahweh abbia altamente apprezzato tale gesto. Gesù insomma non morì sulla croce “a causa dell’odio del mondo, accanitosi contro l’uomo più buono, più innocente e più santo mai comparso sulla terra”, come stucchevolmente ripete la catechesi devota; ma perché aveva ferito nel modo più violento che si possa concepire il senso religioso del suo popolo, rappresentato dalla “chiesa” del tempo, ossia dal Sinedrio. Se si doveva mettere a morte un uomo che avesse raccolto legna di sabato (Nm 15, 32-36) o una donna colpevole di adulterio (v. Gv 8, 1-11), sarebbe stato sommamente ingiusto non punire allo stesso modo l’autore della più orribile offesa a Dio. Del resto, la Chiesa cattolica ha fatto per secoli la stessa cosa nei confronti di uomini colpevoli di eresie obiettivamente assai meno gravi di quanto non fosse, per i giudei, quella di attribuire un figlio a Yahweh. È da dimostrare che gli Ebrei non avrebbero accettato Gesù se egli si fosse presentato semplicemente come messia. Essi non hanno respinto il messia, hanno respinto il sedicente Dio incarnato: “[...] ti lapidiamo [...] perché tu, che sei uomo, ti fai Dio” (Gv 10, 33). “L'uomo più buono, più giusto, più santo…”. No: il più grande bestemmiatore che in quel contesto religioso si potesse concepire. Il “deicidio” quindi non va solo giustificato, “scusato”, storicamente relativizzato, con la concessione di tutte le attenuanti possibili; ma va ritenuto, in prospettiva teologica, altamente lodevole, in quanto indiscutibile atto di pietas. Non basta insomma rinunciare, in nome del politically correct, ad “infierire” sugli Ebrei considerati solidalmente e indiscriminatamente responsabili di deicidio: occorre fare un’analisi oggettiva applicando un criterio squisitamente teologico, sino a concludere che gli uomini del Sinedrio misero a morte non un semplice reo di blasfemia religiosa, ma un vero e proprio sovvertitore della religione mosaica. Agirono pertanto, giova ripetere, giustamente, legittimamente, sacrosantamente. Yahweh responsabile del deicidio Torniamo alle parole del manuale di apologetica sopra citate: “per la legge ebraica, nessuno ha meritato la crocifissione più di quanto l’abbia meritata Gesù”. Benissimo. Prendiamo dunque atto che Cristo ha meritato la morte “per la legge ebraica”. Ma che altro era, questa legge ebraica, se non quanto è codificato in quello che è ora per noi l’ “Antico Testamento”? E chi, se non Yahweh stesso, aveva presieduto nel corso dei secoli a tale codificazione? Il problema va quindi posto nei seguenti termini: l’establishment religioso ebraico che volle la morte di Cristo si attenne alle disposizioni impartitegli dal suo Dio, senza tradirne lo spirito? Se rispondiamo affermativamente, non potremo negare la responsabilità di Yahweh nella crocifissione di Gesù. Ora, a nostro giudizio non è possibile rispondere se non affermativamente. E ci pare che alla luce di queste considerazioni il plurisecolare antigiudaismo della Chiesa non sia più solo da vedere come accanimento rabbioso, sul piano pastorale, contro un popolo accusato di aver ucciso Dio, ma acquisti un rilievo teologico straordinario. Diviene infatti spia di quanto oscuramente si è sempre avvertito, senza trovare il coraggio di dichiararlo: se gli ebrei mettendo a morte il Nazareno hanno agito legittimamente, ossia in ossequio ai dettami del loro Dio, allora è questo stesso Dio ad aver messo a morte Gesù, percepito come nuovo Dio rivale. Per negarlo occorrerebbe dimostrare che gli ebrei si resero colpevoli di tradimento contro Yahweh; perché, ripetiamo, se tale tradimento non vi fu, è inevitabile che Yahweh stesso risulti il mandante dell’uccisione di Cristo. Ovviamente, proprio per scongiurare tale conclusione la Chiesa ha sempre sostenuto la tesi dell’equivoco: i giudei non avrebbero capito che Gesù era l’uomo preannunziato da tutta la Scrittura, avrebbero cioè frainteso gli insegnamenti del Dio di Abramo, di Mosè e dei profeti. Stando a quanto ci dicono gli evangelisti, e Luca in particolare, il primo responsabile di tale interpretazione va senz’altro visto in Gesù stesso; Paolo dal canto suo l’ha ribadita con la metafora dell’olivastro innestato sull’olivo e con la preconizzazione del ravvedimento finale d’Israele. La Chiesa l’ha poi elevata a categoria esegetico-teologica: l’equivoco, che, in quanto errore, è di per sé privo di valenza etica, è stato visto come peccato, secondo la prassi abituale della teologia cristiana. Il mancato riconoscimento di Dio è divenuto, del tutto arbitrariamente, rifiuto di Dio. E, in quanto rifiuto spinto fino al deicidio, massimo peccato concepibile. In realtà è chiaro che non vi fu nessun equivoco da parte giudaica. I sacerdoti ebrei furono irreprensibili nell’ottemperare alla volontà del loro Dio quale chiarissimamente risulta da tutto l’AT. La messa a morte di Gesù, torniamo a dire, fu, nella prospettiva veterotestamentaria, atto non solo legittimo, ma sacrosanto. Tra l’AT e il comportamento dell’ “aristocrazia del Tempio" vi è perfetta sintonia sia sul piano teologico che su quello operativo. Yahweh quindi non può che essersi compiaciuto del comportamento dei suoi sacerdoti, che egli aveva sapientemente preparato nel corso di oltre mille anni a considerare blasfema qualsiasi prospettiva religiosa che derogasse dal monoteismo assoluto, letteralmente inteso, senza sfumature o distinguo. E la prospettiva trinitaria del cristianesimo è certo ben più che una sfumatura. La Bibbia come libro “mostruoso” Tutto questo ha un corollario evidente: la Bibbia è un libro letteralmente “mostruoso”. È un monstrum, in quanto libro religioso che presenta nelle sue due parti un supposto Dio in cui vivono in realtà due diversi Iddii rivali, uno dei quali arriva a mettere a morte l’altro, nel tentativo di eliminarlo. Possiamo pure definirlo un libro esplosivo, dato l’irriducibile conflitto sussistente tra le sue due parti. E tale conflitto implica che nel suo insieme l’AT è chiaramente anticristiano. Yahweh si rivela implacabile nemico del Dio trinitario annunciato da Cristo. Il regolamento di conti avviene sul Calvario, quando il primo, per mano dei suoi sacerdoti (con la collaborazione tecnica della milizia romana, l’indispensabile braccio secolare), “fa fuori” il Dio rivale nella persona del sedicente Figlio. Ma ha sbagliato i conti, e avrà la peggio: per molteplici ragioni - tra cui l’imminente disfacimento di Israele e le obiettive circostanze che favoriscono la diffusione del cristianesimo(*) -, il nuovo Dio, annunziato da Gesù e dai divulgatori del suo messaggio, trionferà clamorosamente. (*) Si veda su questo la parte iniziale del paragrafo “Follia per i pagani?” de “L’argomento principe dell’apologetica pasquale” (nella monografia “L’apologetica e i racconti pasquali”).
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