Dio sans papiers
Il cardinal Ravasi, parlando dell’indifferenza al problema di Dio tanto diffusa nella società di oggi, dice che la situazione è “ben sintetizzata dall’esempio che Charles Taylor fa ne L’età secolare quando afferma che se Dio venisse oggi in una nostra città, l’unica cosa che succederebbe è che gli chiederebbero i documenti”.
Vorrebbe essere una battuta; ma Taylor e Ravasi non si rendono conto del suo spessore teologico. Essi intendono dire che la richiesta di documenti alla divinità che scende sulla terra può solo avvenire in una società fortemente secolarizzata; ma evidentemente gli è sfuggito che la stessa cosa può invece capitare anche in un mondo ripieno del senso di Dio: capitò, tanto per dirne una, anche a un certo Gesù di Nazaret.
Presentatosi come figlio di Dio e Dio egli stesso, inviato dal Padre in funzione di messia nonché salvatore del mondo, il Nazareno incontrò un ambiente scettico che gli chiese le credenziali. Egli allegò come documento d’identità la Scrittura, che a suo dire preannunciava in più punti la sua venuta. Tale documento gli era stato preparato dal Padre stesso, che in collaborazione con lo Spirito Santo aveva ispirato i profeti.
Ma gli ebrei, dopo un rapido controllo, ribatterono che dalla Scrittura non risultava affatto che Dio avesse un figlio, e neppure che l’atteso messia, anziché “ricostituire il regno d’Israele”, si occupasse di un “regno di Dio” aperto a tutte le genti.
Poi c’era la questione del luogo di nascita, che nei documenti era indicato come Betlemme, mentre lui risultava essere di Nazaret; e da Nazaret, si sapeva, non poteva venire nulla di buono, così come dalla Galilea non poteva sorgere profeta (Gv 1, 46; 7, 52).
Per sue ragioni misteriose (le vie del Signore, si sa, non sono le nostre vie), Gesù non disse mai di essere in effetti nato a Betlemme, come noi invece sappiamo con certezza perché è chiaramente scritto nei “vangeli dell’infanzia” di Matteo e di Luca (sfortunatamente messi in circolazione solo dopo la morte del Salvatore).
Così, essendo sans papiers, ossia privo di documenti validi, il Verbo “venne tra i suoi e i suoi non lo accolsero” (Gv 1, 11).
Le autorità religiose disposero per lui il respingimento, ossia il rimpatrio forzato. E senza tanti complimenti lo rispedirono alla casa del Padre.
P. S. Potremmo continuare l’apologo dicendo che, come ogni clandestino forzosamente rimpatriato, Gesù tornò immediatamente nel paese da cui era stato espulso, e lo fece nientemeno che risorgendo dai morti.
Potremmo anche aggiungere che in questo caso i documenti attestanti la sua condizione di risorto risultarono (e tuttora risultano) ancor meno validi di quelli dell’Antico Testamento, essendo costituiti da racconti irrimediabilmente contraddittori, e quindi - in tutto o in parte - falsi. Ancora una volta Gesù sans papiers, dunque.
Ma preferiamo suggerire una riflessione sulla questione di fondo che soggiace a questa favoletta dei documenti chiesti a Dio: il dio di una religione rivelata deve sempre esibire “documenti” che attestino la veridicità della rivelazione.
È inevitabile che gli vengano richiesti; e che tale pretesa sia legittima è espresso dall’apologetica stessa quando dice che i credenti devono essere in grado di dar conto delle ragioni della propria fede.
Senonché, tanto per fare un esempio, anche il secondo libro di Benedetto XVI dedicato a Gesù non contribuisce minimamente a diradare la nebbia che grava sui racconti evangelici della Risurrezione, così da dar loro almeno una parvenza di attendibilità.
E per quanto riguarda i preannunzi del Cristo nell’Antico Testamento, basti considerare che il popolo ebraico, il quale per oltre un millennio, si sostiene, era stato preparato alla sua venuta ricevendo i “documenti” per riconoscerlo, non lo riconobbe affatto (a ragione, come si è detto, poiché dalla scheda personale del futuro messia non risultava che dovesse essere figlio di Dio); mentre lo accolsero senza tanta burocrazia popoli che non avevano avuto alcuna preparazione ma erano ormai convinti della falsità delle carte anagrafiche dei propri dèi (“gli dèi falsi e bugiardi”, per dirla col Virgilio dantesco).
Ecco, dunque: il Dio che “rivelandosi si vela”, come ci spiega l’apologetica; il Dio che vuole rimanere absconditus; il Dio su cui si è ridotti a dover scommettere è, per definizione, un clandestino. Un Dio sans papiers.