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controapologetica
 
Friday, 29 March 2024
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                   Profezie                                                                   

 

  

      Moltissimi messaggi veicolati dalle rivelazioni private parlano di eventi futuri: contengono promesse o minacce, comunque predizioni, anche formalmente espresse con verbi al futuro. Sono quindi vere e proprie profezie.

      Ma, come abbiamo visto, nel contesto delle rivelazioni private la parola ‘profezia’ è quasi tabù per la Chiesa, suscita inquietudine e nervosismo.

 

Per la Chiesa, infatti, uniche profezie valide sono quelle il cui adempimento, magari forzato sino all’arbitrarietà, è indicato come già avvenuto nella Scrittura stessa. Tipiche in questo senso le cosiddette profezie messianiche, la più famosa delle quali è Is 7, 14, addotta a comprova da Mt 1, 23: “Ecco, la Vergine concepirà e partorirà un figlio …”.

Al contrario, tutte le profezie il cui avveramento si pone fuori della Scrittura - della quale vengono così a costituire una sorta di verifica, positiva o negativa - sono malviste dalla Chiesa, tanto da venire addirittura negate nella loro natura di vaticinii e rubricate come ammonimenti, esortazioni, discorsi consolatori, ecc.

 

Il caso più clamoroso è costituito dai numerosi annunci neotestamentari dell’imminente seconda venuta di Cristo (la cosiddetta “parusìa”), coincidente con la fine del mondo.

Gesù e san Paolo mostrano di ritenerla prossima (questione di decenni: Paolo in un primo tempo pensava di arrivare a vederla); ma poiché noi sappiamo che non si è ancora verificata dopo duemila anni, e non potendosi d’altra parte ammettere che l’apostolo e Gesù stesso si siano sbagliati, ecco che occorre impegnarsi con tutte le forze a dimostrare che non si trattava di profezie di eventi futuri (o, in subordine, che significavano tutt’altra cosa rispetto a quello che sembrano significare).

Padre Livio è addirittura riuscito a scrivere un libro (“Dies irae”) sui “tempi della fine” senza citare neppure uno dei numerosi passi neotestamentari (più di una dozzina) annunzianti a chiare lettere l’imminenza della parusìa: cita Mt 24,44, ma non Mt 24,34; cita Mc 13, 21-32, ma non Mc 8, 38 - 9,1; cita 1Ts 5,1-3, ma si guarda bene dal citare 1Ts 4, 15-17; e così via. Operazione di sommo virtuosismo.

 

La profezia intesa nel senso più ovvio di predizione, preannunzio, scotta perché si corre sempre il rischio di vederla smentita dai fatti. Per questo Laurentin, a proposito dei misteriosi preannunzi dei veggenti di Medjugorje, dice che è meglio non prestarvi troppa attenzione.

Si tratta di un’affermazione di per sé grave: se la profezia - ossia proprio l’unico elemento, nei messaggi, suscettibile di verifica – spesso risulta fallace, come si può prestar fede agli aspetti non verificabili delle rivelazioni?

 

Il fuoco di sbarramento contro l’interpretazione della profezia come predizione è dunque intensissimo. Per studiare meglio il problema, consideriamo la seguente affermazione: “Nel Nuovo Testamento la profezia non è mai data come un elemento che crea paura e angoscia e, tanto meno, come una forma di condanna”.

Sono parole di Rino Fisichella, rinomato teologo, vicinissimo a papa Giovanni Paolo II (fu suo vescovo ausiliare nella diocesi di Roma) e autore dell’introduzione alla brochure che raccoglie, insieme al testo completo dei cosiddetti “tre segreti” di Fatima, gli interventi di mons. Bertone e dei cardinali Sodano e Ratzinger in occasione della pubblicazione del Terzo Segreto: un’autorità in materia, dunque, in particolare proprio per quanto riguarda Fatima.

Ma sono parole che suonano strane, poiché non si vede proprio come il cosiddetto “discorso escatologico” di Gesù -  che, oltre a predire la distruzione di Gerusalemme, giunge a richiamare esplicitamente il Diluvio quando preannunzia la fine del mondo - non sia tale da creare paura e angoscia.

 

E quando il teologo scrive che “minacce future, continuo pericolo di guerre, ossessioni catastrofiche sulla fede … tutti questi elementi che sembrano rincorrersi in alcune profezie contemporanee, lasciano perplessi sulla loro origine divina” (“Quando la fede parla”, p. 269), si resta appunto … perplessi. La definizione pare infatti la descrizione puntuale di quanto detto dalla Madonna nelle apparizioni di Fatima, che quindi non dovrebbero essere di origine divina.

 

Nel messaggio di Fatima in effetti, come mostriamo a suo luogo (v. Il tormentone di Fatima), figurano proprio:

minacce (la Russia spargerà i suoi errori per il mondo, il Papa avrà molto da soffrire e alla fine cadrà trafitto, una luce sconosciuta nella notte sarà il “segno che Dio vi dà che sta per castigare il mondo”);

 guerra (“la guerra sta per finire; ma se non smetteranno di offendere Dio, durante il pontificato di Pio XI ne comincerà un’altra peggiore”);

e previsioni catastrofiche sulla fede (“il Portogallo conserverà la fede”: dunque tanti altri paesi, se non tutti, la perderanno).

Si dovrebbe quindi concludere che quanto accaduto a Fatima è un esempio da manuale di quel che in un’apparizione della Madonna non deve esserci perché essa sia considerata credibile.

 

Ancora una volta si rimane disorientati. La contraddizione fra la teoria e la pratica è stridente.

Vale la pena di citare lo stesso card. Ratzinger, che a p. 51 della brochure sopra citata scrive: “La profezia nel senso della Bibbia non significa predire il futuro, ma spiegare la volontà di Dio per il presente e quindi mostrare la retta via per il futuro”.

Ma poi, precisando che “l’importanza della predizione del futuro è in questo caso secondaria”, di fatto ammette che la profezia è anche predizione del futuro.

 

Comunque sia, tale la considera il sensus fidelium nella stragrande maggioranza dei casi; sicché le puntigliose precisazioni dei teologi restano pura filologia. Di fatto, da Fatima in poi, tutte le comunicazioni celesti, vere o presunte, sono all’insegna della profezia intesa – o quanto meno intesa anche – come predizione del futuro.

Del resto, basterebbe considerare che una profezia ha sempre un adempimento (o un mancato adempimento); e che tale adempimento, per forza di cose, è sempre successivo all’annunzio profetico, e quindi si colloca appunto nel futuro.

 

 

       PROFEZIE CONDIZIONATE E PROFEZIE INCONDIZIONATE           

 

Una profezia spesso enuncia che un determinato evento si verificherà qualora se ne verifichi (ovvero non se ne verifichi) un altro, pure determinato, che ne costituisce la condizione.

“Se continuerete a mentire (ovvero: se non smetterete di mentire) sarete puniti” è un esempio di profezia ‘condizionata’: la punizione si avrà solo se gli interessati continueranno a mentire.

“Sarete puniti”, senza altre aggiunte, è invece un esempio di profezia ‘incondizionata’, ossia non subordinata al verificarsi di alcuna condizione: qualunque sia il comportamento tenuto d’ora in poi dai destinatari dell’annunzio, si deve intendere che la punizione è ormai irrevocabile.

 

Sul piano teorico la distinzione è molto chiara; sul piano pratico le cose vanno assai diversamente. Spesso, ad esempio, per giustificare il mancato adempimento della profezia, la condizione che manca viene considerata sottintesa.

Giona grida ai Niniviti: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta”. È una profezia incondizionata. Ma il re e gli abitanti di Ninive la accolgono come se il suo avverarsi fosse subordinato al loro persistere nell’empietà; pertanto iniziano a digiunare e a far penitenza così duramente che vengono perdonati da Dio, per incarico del quale Giona ha parlato.

A posteriori, dobbiamo dunque supporre la presenza di una condizione tacita, del tipo “Se continuerete a peccare ….”.

 

Nei casi in cui, come in questo esempio, chi enuncia la profezia (Dio) coincide con chi è chiamato a realizzarla, ci troviamo di fronte a una minaccia o a una promessa.  

Quando non si ha tale coincidenza, le cose si complicano. Nel Terzo segreto di Fatima, ad esempio, la Madonna annunzia che il Papa (secondo quella che è l’interpretazione “ufficiosa”) cadrà trafitto a morte dai persecutori della Chiesa: il fatto che ciò non sia avvenuto costringe a interpretare la profezia come condizionata, ma è quanto mai problematico individuare la condizione sottintesa.

 

Il problema maggiore che le profezie pongono consiste comunque nell’accertare l’adempimento della condizione.

“Se gli uomini non si convertiranno …”, “se il mondo non tornerà a Dio …” sono esempi di condizioni non verificabili obiettivamente, in quanto non si dispone di alcun parametro per misurare la rispondenza dell’umanità alle richieste del Cielo.

Di conseguenza, sarà in ogni caso impossibile dimostrare il mancato avverarsi della profezia. Se infatti l’evento catastrofico preannunziato si verificherà, dovremo dedurre, a posteriori, che la condizione si è realizzata, ossia che gli uomini non si sono convertiti; in caso contrario, che non si è realizzata.

 

Ciò accade ad esempio nel Terzo segreto di Fatima, dove la  condizione (espressa per di più in modo linguisticamente assai poco perspicuo, che la rende poco riconoscibile come condizione della profezia) suona così: “Penitenza, penitenza, penitenza!”

È difficile immaginare condizione meno verificabile di questa. Per quanto riguarda infatti il numero dei penitenti, è evidente che è impossibile che nessuno faccia penitenza; ed è pure impossibile che la facciano tutti gli uomini. Ma non viene assolutamente detto quanti sono i penitenti che si richiedono perché la condizione possa considerarsi soddisfatta.

 

Per quanto poi riguarda la portata, l’intensità, la “qualità” della penitenza richiesta, è ancor peggio: non solo tale intensità non viene precisata, ma non si ha neppure il minimo ragguaglio sui criteri di valutazione, sull’unità di misura della pratica penitenziale, sulla soglia che occorre raggiungere per adempiere alla condizione fissata; per i non cristiani e non cattolici non si dice neppure se si richiede la conversione al cattolicesimo.

Sicché ci troviamo di fronte all’arbitrarietà più assoluta: se la profezia (nel nostro caso il trionfo del Cuore Immacolato di Maria) non si avvererà, diremo che gli uomini non han fatto penitenza quanto era necessario; se si avvererà, diremo che la penitenza fatta è stata giudicata sufficiente dal Cielo, il cui giudizio ovviamente è insindacabile.

 

A complicare ulteriormente le cose, può poi accadere che risulti problematico accertare l’adempimento non solo della condizione, ma della profezia stessa.

A Fatima la Madonna disse che se la Russia fosse stata debitamente consacrata al suo Cuore Immacolato si sarebbe convertita. Oggi si discute non solo se la consacrazione sia effettivamente avvenuta nei debiti modi (avveramento della condizione), ma anche se la conversione stessa vi sia stata, ossia se si debba considerare tale la caduta del comunismo, pur in presenza di un perdurante spirito materialistico e di acute tensioni tra Roma e la Chiesa ortodossa.

Considerazioni analoghe si possono fare per molte profezie bibliche.

 

In genere, per ottenere il massimo della sollecitazione emotiva, risulta efficace esprimere la profezia in forma incondizionata.

Nel caso che la profezia non si avveri, si potrà sempre congetturare l’esistenza di una “condizione implicita” (conversione, penitenza, comportamento edificante) il cui adempimento, in assenza di precisi criteri qualitativi e soprattutto quantitativi, è assolutamente inverificabile.

 

Per concludere: in questo campo l’ambiguità è tale che l’esegesi devota e l’apologetica hanno sempre buon gioco.

 

 

      MILLENARISMO, APOCALITTICA

 

Poiché molte profezie hanno carattere “apocalittico”, è opportuno chiarire che cosa significhi tale termine.

All’origine vi è l’ “Apocalisse” di san Giovanni. ‘Apocalisse’ propriamente vale ‘rivelazione’ di eventi celesti e cosmici che caratterizzeranno la conclusione della Storia; sia il sostantivo ‘apocalisse’ che l’aggettivo ‘apocalittico’ hanno pertanto acquisito nell’uso corrente una connotazione negativa, quasi sinistra, in quanto evocanti la fine del mondo.

In ciò sono in concorrenza con ‘escatologia’ ed ‘escatologico’, che pure si riferiscono, letteralmente, alle ‘ultime cose’. Benché questi due termini si impieghino normalmente per indicare la situazione permanente delle anime nell’aldilà, l’aggettivo ‘escatologico’ si usa proprio per designare il “discorso” in cui Cristo annuncia la sua seconda e definitiva venuta nella gloria, e quindi la fine di questo mondo.

 

È dottrina consolidata della Chiesa che la conclusione della storia umana sarà preceduta da tempi dolorosissimi per la Chiesa stessa e da un rarefarsi dei credenti.

Ciò dovrebbe essere causato dal successo dell’Anticristo, figura enigmatica di cui già parlano sia Paolo che le lettere di Giovanni. Concretamente, però, a uno schema che prevede il susseguirsi di Anticristo e parusia (ossia venuta finale di Gesù) se ne contrappone un altro che inserisce tra l’Anticristo e la parusia un periodo di pace per il mondo seguito dallo scatenarsi ultimo di Satana in persona.

Questo secondo schema può fondarsi proprio sull’ “Apocalisse” giovannea, in cui il dragone infernale viene legato per mille anni e poi lasciato libero di imperversare sul mondo prima di venire definitivamente rinchiuso nello stagno di fuoco e zolfo. Di qui il termine ‘millenarismo’, con l’aggettivo ‘millenaristico’ che di fatto si usa come sinonimo di ‘apocalittico’ (per cui si parla ad esempio di sette apocalittiche ovvero millenaristiche).

 

Come si vede, siamo in un ambito in cui l’ambiguità regna sovrana e le congetture si sprecano. Nell’imminenza del 2000 ovviamente le ipotesi e i discorsi “millenaristici” si sono moltiplicati.

Anche padre Livio nel suo “Dies irae” ha voluto cimentarsi con questa tematica, stando ben attento naturalmente a rimanere il più vago possibile e a ricordare che Paolo VI ha ammonito che il momento della fine non lo conosceremo mai.

Ma, precisa, se non ci è stato rivelato il “quando”, ci sono però stati mostrati i “segni” da cui riconoscere l’evento. Senonché, ahinoi, questi segni sono quanto mai generici. È un po’ come dire che la fine del mondo verrà dopo un gran temporale; e di gran temporali nella storia del nostro pianeta ve ne sono stati e ve ne saranno ancora parecchi.

 

Del resto, per sbarazzarsi di ogni timore indotto da speculazioni pseudoreligiose, basterebbe pensare che prima che giunga la fine del mondo è necessario (teste san Paolo) che Israele ritorni all’ovile abbracciando la fede cristiana.

Ora, a meno che gli ebrei non si convertano in massa dalla sera alla mattina, ci sarà per tutti il tempo di prepararsi convenientemente ai drammatici momenti della fine.

 

Il groviglio di problemi creato dalle prospettive millenaristiche nelle loro innumerevoli varianti si fa ancor più inestricabile quando in tali prospettive si vogliono inserire quelle dischiuse dalle profezie contenute nei messaggi, e soprattutto nei “segreti”, confidati dalle varie Madonne che si alternano sulla scena delle apparizioni. Ce ne offre un esempio attualissimo Medjugorje (v. Segreti, millenarismo e tempo di primavera).    

 

 

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