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Wednesday, 24 April 2024
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     'L'accordo degli evangelisti' di sant'Agostino 

 

 

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A conclusione della nostra panoramica degli argomenti usati dall’apologetica per risolvere i principali problemi di compatibilità tra i diversi racconti pasquali, riteniamo istruttivo dedicare una certa attenzione a un’opera che ha avuto un influsso duraturo sui vari tentativi di “armonizzazione” susseguitisi nei secoli e che è frutto dello zelo apologetico di uno dei massimi pensatori che abbia avuto la Chiesa: “L’accordo degli evangelisti” (De consensu evangelistarum) di sant’Agostino.

Ritroveremo naturalmente diverse soluzioni che già abbiamo incontrato, in quanto l’opera è un poco la matrice da cui sono uscite le sue più tarde imitazioni, che hanno cercato con varia fortuna di eliminare almeno alcuni degli innegabili “difetti” che essa presentava. 

 

In primo luogo, secondo Agostino le donne recatesi alla tomba vedono, anche in Matteo e in Marco, non uno ma due angeli: quello di Matteo, che è fuori del sepolcro, e quello di Marco, che si trova all'interno (ciascun evangelista avrebbe dunque “omesso” di parlare dell’altro angelo); e “da tutt’e due separatamente udirono le parole da loro dette sul conto di Gesù”: l’angelo di Marco le invita ad entrare dove lui si trova e ripete “più o meno” le parole già dette dal collega.

In alternativa, Agostino suggerisce che si possa immaginare la situazione seguente: il sepolcro in cui le donne entrano è “una specie di recinto, destinato verosimilmente a proteggere la tomba vera e propria” e situato “a una certa distanza dalla roccia che era stata scavata per ricavarne la camera funeraria”. 

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In seguito, come vedremo, l’autore troverà comodissimo questo stratagemma, che gli consente di intendere “sepolcro” o come ‘recinto’ o come ‘tomba’, secondo le esigenze della sua esegesi (in particolare, si atterrà a questa immaginaria e arbitraria topografia per risolvere i nodi creati dalla visita della Maddalena descritta in modo contraddittorio da Matteo e da Giovanni).

 

Con grande zelo e meticolosità, Agostino si impegna poi a risolvere una quantità di problemi di discordanza che in effetti si possono considerare relativamente secondari.

Si tratta del problema dell’ora dell’arrivo delle donne al sepolcro, di quello relativo – oltre che al numero - alla posizione degli angeli che esse vi trovano, nonché di quello posto dall’espressione “il terzo giorno”, non facile a ridursi a quei “tre giorni e tre notti” che Gesù aveva menzionato parlando del segno di Giona.

 

Circa le guardie poste a custodia della tomba, Agostino ritiene che siano rimaste sul luogo, benché tramortite, per andarsene a riferire ai loro capi solo più tardi.

Ritiene inoltre che Marco, scrivendo che le donne “non dissero niente a nessuno”, abbia inteso dire che esse non dissero nulla né agli angeli né ai soldati (!), ma parlarono poi agli apostoli (benché il testo di Marco dica, lo ripetiamo, che esse non dissero “niente a nessuno”).

Si impegna anche (molto avventurosamente, sfruttando l’ambiguità del sepolcro che è ora recinto ora tomba, a seconda della convenienza esegetica) a dimostrare che gli angeli di cui parla Luca sono altri due, diversi rispetto a quelli di cui parlano Matteo e Marco (sicché in totale si avrebbero quattro angeli!).

 

Ma il meglio delle proprie risorse di “concordista” Agostino lo offre quando, affrontando il problema più spinoso, arriva arditamente a “fondere” la visita della Maddalena descritta da Giovanni con la visita delle donne (tra cui è la stessa Maddalena) descritta dai sinottici, e in particolare da Matteo; sicché si deve supporre che la protagonista abbia di tanto preceduto le compagne da poter scendere ad avvisare gli apostoli, tornare con questi al sepolcro e riunirsi alle compagne stesse giusto in tempo per sentirsi rivolgere le parole che in Matteo, Marco e Luca gli angeli (uno, due o quattro che fossero) rivolgono alle donne appena giunte alla tomba!

 

Ingegnosissimo è il meccanismo con cui a questo punto vengono fatti muovere gli angeli: i due che la Maddalena di Giovanni ha appena visto seduti si alzano e diventano i due visti dalle donne di Luca. Virtuosismo esegetico di alta scuola.

Per farla breve, il bizzarro risultato di questa “soluzione” è che il celebre “Noli me tangere”, anziché avvenire nella solitudine che tanto ha contribuito a renderlo fascinoso, ha luogo praticamente in presenza delle altre donne (che si deve dunque supporre se ne stiano discretamente in disparte fingendo di non vedere e non sentire, per non turbare l’intimità del colloquio).

 

A questo punto Agostino può agganciarsi decisamente ai sinottici e mostrarci il gruppo compatto delle donne che si allontanano correndo dalla tomba per recare il messaggio agli apostoli.

Gesù, che si era appena congedato dalla Maddalena dicendo che doveva salire al padre suo, ridiscende precipitosamente e compare al gruppo (secondo Mt 28, 9-10) per affidargli il messaggio dell’appuntamento in Galilea, forse accortosi di aver dimenticato di darlo poco prima alla Maddalena (e ignorando ovviamente quel che avevano detto gli angeli più o meno nello stesso tempo in cui egli compariva alla donna presso il sepolcro).

 

In questo modo Agostino riesce ad eliminare (si fa per dire) l’inghippo dell’incompatibilità tra le due apparizioni alla Maddalena, in Matteo e in Giovanni.

Ma, a parte l’orrendo guazzabuglio che ha dovuto combinare, egli ha completamente perso di vista Pietro e Giovanni, i quali dovevano essere arrivati alla tomba insieme alla Maddalena o appena prima di lei, e quindi dovrebbero aver preceduto le donne nell’ispezione al sepolcro vuoto.

Non solo: se tale ispezione non fu proprio telegrafica, i due dovrebbero esser stati anch’essi presenti mentre gli angeli catechizzavano le donne e Gesù compariva alla Maddalena (e ciò, si badi, benché essi di angeli alla tomba non abbiano visto traccia).

 

Se poi consideriamo che per Agostino erano ancora in loco anche le guardie, ci rendiamo conto di quale sia la sua arma vincente nel “sistemare” il garbuglio delle due diverse apparizioni alla discepola più amata: riunire tutti i protagonisti al sepolcro contemporaneamente.

Di questa family reunion l’autore pare assai soddisfatto, poiché non manca di tanto in tanto di reiterare una formula di questo tipo: “sicché risulta che tutti [gli evangelisti] han detto la verità senza alcuna contraddizione”. 

 

Possiamo risparmiare al lettore le acrobazie dell’apologeta per risolvere l’ancor più spinosa questione delle apparizioni in Galilea e/o in Giudea.

Diremo soltanto che dopo aver ricordato che Gerusalemme è distante dalla Galilea, per cui a suo giudizio si può escludere che vi siano state due apparizioni nei due luoghi diversi nella medesima giornata, il Nostro trova però normalissimo che ve ne fossero una a Gerusalemme e una sul lago di Tiberiade in due giorni consecutivi, attribuendo di fatto agli apostoli una velocità di spostamento degna dei corrieri postali di Tiberio.

Superfluo dire poi che non accenna minimamente all’incompatibilità sussistente tra l’espresso ordine di Gesù di non allontanarsi da Gerusalemme fino alla discesa dello Spirito e le apparizioni successive, in particolare quelle galilaiche.

 

Per concludere: siamo di fronte a un vero e proprio museo degli orrori esegetici. Pio de Luis, nell’introduzione al “De consensu” che figura nell’opera omnia di Agostino pubblicata da Città Nuova, scrive che “nessuno mette in dubbio che le sue soluzioni siano inaccettabili per la scienza biblica attuale; ma non è possibile fare confronti con essa”.

Una simile affermazione contiene una verità e una bugia. È vero infatti che le soluzioni di Agostino sono inaccettabili; ma non è vero che siano tali solo per la “scienza biblica”, poiché in realtà sono inaccettabili in primo luogo per il buon senso e per il comune senso della lingua e delle modalità della comunicazione verbale.

 

Quando parliamo di buon senso, alludiamo ovviamente a quello di oggi come a quello del V secolo; quando parliamo di “comune senso della lingua”, intendiamo una sorta di “sensus loquentium” che può considerarsi il pendant di quel “sensus fidelium” a cui tanto spesso la teologia fa appello per togliere qualche castagna dal fuoco.

In effetti, se veramente dovessimo supporre che gli evangelisti hanno scritto quel che hanno scritto intendendo quello che Agostino sostiene si debba intendere, saremmo costretti a concludere che almeno qualcuno di loro aveva qualche serio problema mentale.

 

“Davanti al modo di procedere agostiniano il lettore moderno ha in alcuni casi una sensazione di arbitrarietà e in altri di artificiosità”, scrive ancora il de Luis. Dopo di che fa un minuzioso elenco degli espedienti a cui il Santo ricorre per far quadrare i conti della sua esegesi.

Formalmente si tratta di una quantità di “artifici”, in senso lato retorici, che Agostino immagina impiegati dai singoli evangelisti, e dai quali dipenderebbe l’ “apparente” discordanza dei loro testi.

De Luis conclude che “il lettore ne ricava l’impressione di trovarsi di fronte a facili sotterfugi per eludere il problema”. Ma pensando questo il lettore avrebbe torto, dice, in quanto se ci si cala nella cultura del tempo si vede che tali artifici erano regolarmente insegnati e altamente apprezzati, sicché si deve ritenere che fossero famigliari a tutti i lettori del “De consensu”.

 

Sarà; ma si deve allora supporre che gli evangelisti abbiano scritto in palese dispregio del comando di Cristo: “Il vostro parlare sia sì sì, no no”, attenti solo ai procedimenti che sarebbero invalsi tre secoli dopo nella cultura retorica del tardo impero!

E ha un bel dire Agostino che anche Gesù si servì talora del linguaggio figurato: a parte il fatto che egli non impiegò certo tutti gli artifici che compaiono nell’inventario di de Luis, per i suoi ascoltatori non si poneva certo il problema di far quadrare testi discordanti, quale si pone invece a noi, sfortunati lettori del vangelo quadriforme.

 

Ancora una piccola curiosità. S. Agostino spende parecchie parole per dirimere il problema dell’individuazione dei discepoli indicati come “undici”. Sono gli undici apostoli rimasti dopo la defezione di Giuda, si chiede, o sono altri undici discepoli non meglio identificati?

Questa sua perplessità è quanto meno strana: può essere sorta solo dallo studio del testo in una sua versione latina, in quanto il latino non possiede l’articolo, mentre il testo greco, dicendo chiaramente che si tratta degli undici, non lascia adito a dubbi.

 

La conferma, se ancora fosse necessario, la si ha quando si vede che Agostino scioglie il suo dubbio considerando il caso di Mc 16, 14, dove, dice, si racconta che Gesù apparve “a quegli undici” (illis undecim): agli apostoli, dunque.

Se non che è facile verificare che illis undecim è proprio la versione adottata in questo punto da san Gerolamo (versione impropria, in quanto l’originale ha anche in questo caso, come in tutti gli altri simili, “gli undici”).

È chiaro quindi che Agostino ha lavorato, arrabattandosi per trovare una soluzione, esclusivamente sul testo latino; il che fa dubitare parecchio dell’utilizzo dell’originale greco, che autorevoli studiosi gli attribuiscono (cfr. ivi, pp. XXXVIII-XXXIX).

 

Quanto meno, diciamo che un minimo di sensibilità linguistica e di familiarità con la lingua greca avrebbe dovuto suggerirgli di consultare l’originale per dirimere la questione degli “undici”.

Il grande esegeta è quindi annegato in un bicchier d’acqua. Piccole miserie dell’apologetica bimillenaria.

 

L’esame un poco approfondito delle tecniche impiegate e dei risultati raggiunti da sant’Agostino ci è sembrato importante perché siamo di fronte a un massiccio sforzo di chiarificazione compiuto da un uomo che era ad un tempo un cervello di prim’ordine e un credente doc, una grande mente e un grande cuore.

Nessuno meglio di lui può quindi attestare, con la clamorosa inadeguatezza delle soluzioni proposte, l’oggettiva inconciliabilità dei diversi racconti della Risurrezione.

Al tempo stesso, l’impegno con cui egli affronta il compito dimostra che la ricerca di un accordo tra i diversi evangelisti risponde a un’esigenza profonda e sincera dei credenti, già chiaramente avvertita tre secoli dopo la stesura dei vangeli.

 

Il “ridimensionamento” delle discordanze è avvenuto progressivamente, man mano che si è preso atto dell’irriducibilità delle contraddizioni tra i vari testi.

Si è allora parlato prima di una sopravvalutazione degli elementi di disaccordo, poi di un loro carattere positivo, in quanto attestanti l’indipendenza dei testimoni.

Si è infine ripiegato sulla separazione dei due diversi piani della critica e della fede; sino a rinunciare puramente e semplicemente ad esaminare i racconti nel dettaglio, limitandosi all’enunciazione di principi generali, metodologici e psicologici.

Il che è appunto quanto fa Messori, come illustreremo ampiamente nella seconda monografia.  

 

 

 

 

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